Esiste un fattore che è rimasto costante lungo tutta la storia del commercio italiano: nei periodi di grande incertezza, è aumentato il numero delle compravendite di attività commerciali.
Da un lato, imprenditori logorati e sfiduciati che cedono; dall’altro lato, colleghi (o aspiranti tali) che vanno a caccia di buone opportunità a basso prezzo per avviare o ampliare un’impresa.
È quello che si è verificato, a intervalli regolari, in tutte le fasi più critiche.
Tranne questa.
Già, perché i dati ci dimostrano che nell’ultimo decennio le cessioni di azienda sono diminuite.
Perché in Italia diminuiscono le cessioni di attività commerciali?
Le radici di questo fenomeno risalgono al 2006, quando la crisi non si era ancora manifestata così come la conosciamo oggi.
Continuando su un trend che era stato avviato dal 1998, infatti, la cosiddetta “legge Bersani” ha abolito le licenze per i negozi fino a 250 metri quadri (150 nei comuni minori) e ha fatto sparire le 14 tabelle merceologiche, ridotte a due macro-categorie (food e non food). Questa rivoluzione del commercio ha dato impulso all’apertura di nuove attività, aprendo una fase in cui i contratti di locazione commerciale erano molti di più rispetto alle cessioni d’azienda.
Fatta eccezione per quelle poche aree in cui il loro rilascio è ancora limitato, la liberalizzazione delle licenze ha vertiginosamente abbassato il loro valore. “Perché pagare per acquisire una licenza già esistente?”, si sono chiesti in molti, che hanno preferito avviare le pratiche ed eseguire i lavori all’interno dei locali per ottenerne una nuova, anche a costo di spendere ingenti somme di denaro.
Il risultato?
Meno cessioni di attività commerciali e tante nuove aziende aperte da zero, spesso e volentieri con un buon grado di improvvisazione.
Non stupisce, quindi, che sia crollato il tempo medio di sopravvivenza delle nuove imprese e si sia impennato il loro tasso di chiusura entro i tre anni.
Questo, però, non vuol dire che sia scomparso il mercato delle cessioni d’azienda. Anzi.
È uno scrigno inesplorato che racchiude poderose soddisfazioni.
Perché si vende un’attività commerciale?
La risposta a questa domanda sembra automatica: si vende perché l’attività va male.
Bene, è arrivato il momento di sfatare questo mito.
Questo è senza dubbio uno dei possibili motivi, ma ce ne sono anche molti altri, che non hanno necessariamente a che fare con il fatturato.
Per rendere l’idea, ne elenco quattro:
- Si chiude un ciclo generazionale. Dopo avere dedicato venti, trenta o quarant’anni alla sua attività, l’imprenditore non ha figli o familiari a cui passare il testimone, così decide di chiudere i battenti.
- Si chiude un ciclo, anche se non generazionale. Il nostro mondo cambia velocemente e la concezione di lavoro non è più la stessa rispetto a vent’anni fa. Archiviata l’ambizione a “sistemarsi per la vita”, il ciclo medio di un progetto d’impresa si è accorciato. È sempre più frequente conoscere imprenditori che costruiscono un progetto, lo portano avanti “solo” per cinque o sette anni, e poi decidono semplicemente di passare ad altro.
- Si fa “trading”. Proprio come accade nel settore immobiliare, ci sono imprenditori che acquisiscono aziende, le valorizzano e poi le rivendono, ricavandone un giusto margine di guadagno. Chiuso un ciclo, ne aprono un altro e continuano così.
Si generano dissapori tra i soci.
Cos’hanno in comune questi quattro motivi?
Nessuno di loro è necessariamente legato ai guadagni.
I 6 errori da evitare quando si cede un’azienda
- Confondere l’attività con l’immobile. Un conto è la tua attività commerciale, un conto è lo spazio fisico in cui è ubicata. Sono due beni ben distinti, che hanno parametri di valutazione e gestione completamente diversi tra loro.
- Dimenticarsi la riservatezza. Nella gestione della vendita, non saper dosare il giusto grado di discrezione e privacy – soprattutto nei confronti di clienti e dipendenti – rischia di fare più danni di un prezzo sbagliato. Letteralmente, passami il termine, si rischia di “bruciare” l’azienda.
- Sbagliare il prezzo e le condizioni. Sembra scontato, ma non lo è. Sbagliare il prezzo di vendita – e, ancor più, le modalità di pagamento del prezzo – può aprire scenari drammatici, nella fase di transazione, ma soprattutto dopo.
- Farsi guidare dalle emozioni. Se sei un imprenditore, probabilmente ti sei spaccato la schiena sulla tua attività, investendoci tutte le tue energie. Questo inevitabilmente ha su di te un impatto emotivo intenso e irrazionale, che può farti maturare errate aspettative sul prezzo finale che puoi ottenere da un acquirente. Ma “prezzo” e “valore” sono due concetti distinti: se continuerai ad andare alla ricerca dell’offerta che rispecchia il tuo carico emotivo, rischierai di aspettare in eterno.
- Sottovalutare la scadenza del contratto di locazione. In Italia, circa 8 imprenditori su 10 usufruiscono di un immobile in locazione. Se sei uno di questi, la tua attività può anche avere un prezzo di mercato di milioni di euro, ma nessuno mai la acquisterà se non può garantire la disponibilità dei locali per un periodo adeguato.
- Tentare con il “fai da te”. Questo è il motivo più importante, che da solo riassume i primi cinque. Se hai a che fare con una trattativa così complessa, non puoi sperare di procedere da solo e andare per tentativi: affidati sempre a un professionista.